Un membro del celebre Homebrew Computer Club – un’associazione di ingegneri, ricercatori e tecnici accomunati dal sogno di rendere l’informatica un’abitudine popolare – fu Tom Pittman, uno dei primi «filosofi» hacker. Nel suo manifesto Deus ex machina, or the true computerist egli ha provato a rendere l’idea della sensazione che può accompagnare il vero hacker in questo processo creativo: «Io che sono cristiano sentivo di potermi avvicinare a quel tipo di soddisfazione che poteva aver sentito Dio quando creò il mondo». L’hacker ha in effetti una precisa percezione dell’importanza di dare un contributo personale e originale alla conoscenza. Pittman, che si presenta come a Christian and a technologist , interpreta questa azione come una partecipazione emotiva al lavoro creativo di Dio, un lavoro che sviluppa interesse, passione, curiosità, che mette in moto le capacità di chi lo compie non avvilendolo. L’hacker è sostanzialmente un creativo sempre in ricerca. Come cristiano egli vive e interpreta il suo gesto creativo come una forma di partecipazione al «lavoro» di Dio nella creazione. È proprio questo uno dei punti salienti dello spirito hacker: la creatività applicata.

Pekka Himanen, docente all’università di Helsinki e di Berkeley, nel suo fondamentale L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione, a partire da questi presupposti sviluppa una riflessione che ha a che fare direttamente anche con la teologia. Egli articola, in particolare, una profonda critica all’approccio etico protestante, inteso nel senso «capitalistico» di Max Weber, che impone quella che egli definisce «la venerdizzazione della domenica». È una visione che, più che idealizzata, è invece di chiara origine teologica. La sua questione di fondo, infatti, è «Lo scopo della vita», come recita un paragrafo importante del volume: «Si potrebbe dire che la risposta originaria della cristianità alla domanda “Qual è lo scopo della vita?” sia: lo scopo della vita è la domenica». I suoi riferimenti sono la Divina Commedia di Dante, «apoteosi della visione del mondo preprotestante», Agostino e la Navigatio Sancti Brendani, un’opera anonima in prosa latina, tramandata da numerosi manoscritti a partire dal X secolo.

L’etica hacker dunque vuol capovolgere l’«etica protestante», affermando che «lo scopo della vita è più vicino alla domenica che al venerdì». Non è difficile riconoscere l’intuizione di una «vita beata» nel codice genetico della visione hacker della vita, l’intuizione che l’essere umano è chiamato a un’«altra» vita, a una realizzazione piena e compiuta della propria umanità. Ovviamente l’hacker non è l’uomo dell’ozio e del dolce far niente. Al contrario è molto attivo, persegue le proprie passioni e vive di uno sforzo creativo e di una conoscenza che non ha mai fine. Tuttavia sa che la sua umanità non si realizza in un tempo organizzato rigidamente, ma nel ritmo flessibile di una creatività che deve diventare la misura di un lavoro veramente umano, quello che meglio corrisponde alla natura dell’uomo.

Nella teoria hacker vi è un appello radicale al fatto che lo shabbat, il sabato (la domenica, in termini cristiani) è la vera «patria» dell’uomo, la sua vera dimensione esistenziale. Il sabato ebraico o la domenica cristiana ovviamente non si riducono al riposo. Tuttavia la domenica hacker non è neppure una semplice «vacanza»: in essa vive, almeno implicitamente, un riferimento a Dio in quanto origine creativa del mondo. La creazione è in grado di dare alla visione hacker del mondo e dell’uomo quel «punto di fuga» trascendente senza il quale essa rischia di finire in un vicolo variopinto ma cieco. Himanen, che dell’etica hacker si è fatto divulgatore, ricorda che «in una delle sue due Apologie a favore della cristianità del Secondo secolo, uno dei Padri della Chiesa, Giustino martire, elogia la domenica». E cita la sua fonte: «Ci raccogliamo tutti insieme nel giorno del Sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo: sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro salvatore, risuscitò dai morti». Himanen a questo punto si pone una domanda che scopre in sant’Agostino: «Perché Dio aveva creato il mondo?». E prosegue: «Possiamo dire che la risposta degli hacker alla domanda di Agostino è che Dio, in quanto essere perfetto, non aveva bisogno di fare assolutamente nulla, ma voleva creare».

Nel racconto dell’azione creatrice libera e indeducibile di Dio l’hacker trova l’immagine della propria esistenza: «La Genesi può essere vista come un racconto sulle modalità dell’attività creativa. In essa i talenti vengono usati in modo immaginativo. Essa riflette la gioia che si prova quando si giunge a sorprendere se stessi, fino a superarsi. Non passa giorno che Dio non si presenti con un’idea ancora più straordinaria: come realizzare delle creature bipedi senza peli. E si entusiasma tanto per aver creato un mondo fatto per gli altri che è perfino pronto a rimanere sveglio per sei notti di fila, riposandosi un po’ soltanto il settimo giorno». Se questo modello biblico non viene privato del suo profondo valore teologico allora è capace di mantenere la memoria di un inizio che è frutto di un atto creativo di Dio.

Anche Larry Wall, creatore del linguaggio di programmazione Perl, come Pittman e altri, collega strettamente la sua azione creativa alla propria fede: «Perl è ovviamente il mio tentativo di aiutare gli altri ad essere creativi. Umilmente, sto aiutando la gente a capire un po’ di più quali sono le persone che piacciono a Dio», che è il modello assoluto, l’«artista cosmico». All’interno di questa visione l’etica hacker può acquistare persino risonanze profetiche per il mondo d’oggi votato alla logica del profitto, per ricordare che il «cuore umano anela a un mondo in cui regni l’amore, dove i doni siano condivisi» (Benedetto XVI)

 

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