coverNell’elenco di 38 martiri uccisi sotto il regime comunista in Albania figura anche padre Giovanni Fausti (1899-1946) e i suoi compagni. Saranno tutti beatificati il 5 novembre 2016 nella piazza davanti alla cattedrale di Santo Stefano a Scutari. Il 21 settembre 2013 Papa Francesco si era recato in Albania per il suo quarto viaggio internazionale dopo quelli in Brasile, Terra Santa e Corea. La popolazione del «Paese delle Aquile» ha molto sofferto nella sua storia, e soprattutto nelle seconda metà del Novecento per la rigidissima dittatura comunista di Enver Hoxha iniziata nel 1944 e finita con la morte del dittatore nel 1985. La Costituzione albanese era l’unica a contenere l’ateismo pratico. Sono state distrutte oltre 1800 chiese, e molte altre sono state trasformate in cinema, teatro, sale da ballo.

Rimane impressa nella memoria l’immagine del grande viale che conduce alla piazza Madre Teresa, luogo nel quale il Pontefice ha celebrato la Messa davanti a tanti cattolici, ma anche a tanti musulmani, venuti per essere presenti all’evento. Lungo il viale si succedevano grandi striscioni con l’immagine dei martiri che hanno dato la vita per testimoniare la loro fede. Tra questi volti quello del p. Fausti, missionario e precursore del dialogo islamico-cristiano. E l’Albania è l’unico Paese europeo a maggioranza musulmana.

padre_giovanni_faustiIl p. Fausti scriveva sulla Civiltà Cattolica e, come risulta dal diario delle «consulte» (cioè la riunione di redazione) della rivista, fu lo stesso Pio XI a commissionare alcuni articoli sul tema dell’islàm. Il Pontefice era convinto che si fosse fatto poco per avvicinare i musulmani. Riteneva necessario studiarne a fondo la lingua, la religione, i costumi, il loro modo di pensare. È per rispondere a questa richiesta che, negli anni Trenta, si muovono gli interventi della Civiltà Cattolica su questo tema. La loro redazione (tra il 1931 e il 1935) non fu affidata a un uomo di «laboratorio», cioè a uno studioso professore esperto di questi temi, né a un redattore stabile della rivista, ma a un uomo di «frontiera», un gesuita che nelle sue pagine definisce se stesso come un «umile missionario in terra d’Islam», il quale aveva non solamente una solida competenza nella materia, ma conosceva anche direttamente il mondo e la cultura islamica. P. Fausti era un convinto sostenitore del «Vangelo dialogante», inculturato nella fede e nella cultura del popolo. P. Fausti pagò con la vita la propria fedeltà al popolo albanese: fu fucilato dai comunisti la mattina del 4 marzo 1946 nei pressi del cimitero cattolico di Scutari.

A distanza di quasi ottant’anni dalla redazione degli articoli di p. Fausti, voluti da Pio XI, Papa Francesco ha visitato la terra albanese. Essa è stata la prima dell’Europa a ricevere una visita del Pontefice. E certamente questa scelta non è stata casuale. Il Papa delle «periferie» per entrare in Europa il Papa delle «periferie» ha scelto un Paese candidato all’ingresso nell’Unione europea, e dunque non ancora in essa integrato. Ma Francesco ha scelto l’Albania soprattutto perché le confessioni religiose presenti nel Paese, tutte oppresse sotto la dittatura, hanno imparato a convivere bene insieme: musulmani (sunniti e bektashi) e cristiani (ortodossi e cattolici). L’Albania smentisce quanti usano la religione per alimentare i conflitti. Il messaggio di p. Fausti, dunque, torna a farsi attuale.

Nel suo primo discorso pubblico in terra albanese presso il Salone dei ricevimenti del Palazzo Presidenziale Francesco ha subito affermato uno dei motivi principali del suo viaggio: «Mi rallegro in modo particolare per una felice caratteristica dell’Albania, che va preservata con ogni cura e attenzione: mi riferisco alla pacifica convivenza e alla collaborazione tra gli appartenenti a diverse religioni. Il clima di rispetto e fiducia reciproca tra cattolici, ortodossi e musulmani è un bene prezioso per il Paese e acquista un rilievo speciale in questo nostro tempo nel quale, da parte di gruppi estremisti, viene travisato l’autentico senso religioso e vengono distorte e strumentalizzate le differenze tra le diverse confessioni, facendone però un pericoloso fattore di scontro e di violenza, anziché occasione di dialogo aperto e rispettoso e di riflessione comune su ciò che significa credere in Dio e seguire la sua legge».

Con decisione e chiarezza Francesco ha proseguito: «Nessuno pensi di poter farsi scudo di Dio mentre progetta e compie atti di violenza e sopraffazione! Nessuno prenda a pretesto la religione per le proprie azioni contrarie alla dignità dell’uomo e ai suoi diritti fondamentali, in primo luogo quello alla vita e alla libertà religiosa di tutti!». I riferimenti alla situazione che viviamo in Medio Oriente sono chiari. Di fronte a una religione strumentalizzata, l’esperienza albanese dimostra invece che «la pacifica e fruttuosa convivenza tra persone e comunità appartenenti a religioni diverse è non solo auspicabile, ma concretamente possibile e praticabile. La pacifica convivenza tra le differenti comunità religiose, infatti, è un bene inestimabile per la pace e per lo sviluppo armonioso di un popolo. È un valore che va custodito e incrementato ogni giorno, con l’educazione al rispetto delle differenze e delle specifiche identità aperte al dialogo ed alla collaborazione per il bene di tutti, con l’esercizio della conoscenza e della stima gli uni degli altri. È un dono che va sempre chiesto al Signore nella preghiera. Possa l’Albania proseguire sempre su questa strada, diventando per tanti Paesi un esempio a cui ispirarsi!».

Il Pontefice ha ribadito questo pensiero incontrando i leaders delle altre religioni e denominazioni cristiane e immaginando la libertà religiosa, adesso di recente acquisita, come uno «spazio comune» che deve essere «un ambiente di rispetto e collaborazione che va costruito con la partecipazione di tutti, anche di coloro che non hanno alcuna convinzione religiosa». Francesco ha individuato due atteggiamenti che possono essere utili nella promozione di questa libertà fondamentale.

«Il primo – ha affermato – è quello di vedere in ogni uomo e donna, anche in quanti non appartengono alla propria tradizione religiosa, non dei rivali, meno ancora dei nemici, bensì dei fratelli e delle sorelle. Chi è sicuro delle proprie convinzioni non ha bisogno di imporsi, di esercitare pressioni sull’altro: sa che la verità ha una propria forza di irradiazione. Tutti siamo, in fondo, pellegrini su questa terra, e in questo nostro viaggio, mentre aneliamo alla verità e all’eternità, non viviamo come entità autonome ed autosufficienti, né come singoli né come gruppi nazionali, culturali o religiosi, ma dipendiamo gli uni dagli altri, siamo affidati gli uni alle cure degli altri. Ogni tradizione religiosa, dal proprio interno, deve riuscire a dare conto dell’esistenza dell’altro».

Il secondo atteggiamento è «l’impegno in favore del bene comune. Ogni volta che l’adesione alla propria tradizione religiosa fa germogliare un servizio più convinto, più generoso, più disinteressato all’intera società, vi è autentico esercizio e sviluppo della libertà religiosa. Questa appare allora non solo come uno spazio di autonomia legittimamente rivendicato, ma come una potenzialità che arricchisce la famiglia umana con il suo progressivo esercizio. Più si è a servizio degli altri e più si è liberi!». Il Papa ha invitato dunque le persone credenti in Dio a guardarsi attorno, a vedere quanti sono i bisogni dei poveri, e quanto le nostre società debbano ancora trovare cammini «verso una giustizia sociale più diffusa, verso uno sviluppo economico inclusivo». Gli uomini e donne ispirati dai valori delle proprie tradizioni religiose possono offrire un contributo insostituibile. Ed è proprio questo un terreno particolarmente fecondo anche per il dialogo interreligioso. Dunque: il dialogo si fa non discutendo sulle idee, ma facendo insieme qualcosa per il bene di tutti.

Rileggendo le parole di p. Fausti alla luce di quelle di Francesco, si scopre una lezione forte e una voce chiara anche per i nostri giorni. Le intuizioni sul dialogo tra islam e cristianesimo, teorizzate da questo uomo di frontiera oltre che martire, possono essere un terreno privilegiato per cementare il dialogo interreligioso, anche oggi, specialmente alla luce del pontificato di Francesco. Il volume che raccoglie i suoi scritti su cristianesimo e islam, considerando gli anni nei quali furono scritti, fanno parte di un capitale di sapienza che può aiutarci a vivere meglio il momento presente con tutte le sue tensioni e le sue sfide.

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