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Oggi Papa Francesco ha deciso di fermarsi con i gesuiti della Sogang University di Seoul. Lo ha fatto a sorpresa, comunicandolo alla comunità solamente 24 ore prima. Il Papa è entrato ed è stato accolto da un grande applauso. Tutti si sono presentati uno per uno alla fine, ma all’inizio anche per tipologia di attività: i giovani in formazione, quindi, i novizi, e poi coloro che si occupano dell’apostolato spirituale, dell’apostolato giovanile, dell’apostolato sociale. E’ stata veramente una grande festa.

Il Papa ha goduto molto di questo clima e poi, dopo alcune, poche, parole introduttive di saluto, ha parlato a braccio, assolutamente a braccio ovviamente, ed è stato un discorso semplice e potente, tutto incentrato su una parola – consolazione – che per noi Gesuiti è una parola fondamentale: la consolazione spirituale. Ha detto che noi siamo ministri di consolazione, che a volte nella Chiesa si sperimentano fatiche, a volte ferite, e a volte la gente sperimenta ferite anche a causa dei ministri della Chiesa. E ha ribadito quell’espressione che mi aveva comunicato nell’intervista della Chiesa come “ospedale da campo”. L’ha ribadita, l’ha confermata. Questa è la sua visione della Chiesa.

Quindi, il compito di noi Gesuiti – ma direi più in generale dei ministri del Vangelo, dei sacerdoti, dei religiosi – è quello di essere persone di consolazione, che danno pace alla gente, che leniscono le ferite. E l’ha ripetuto in vari modi e con accenti molto intensi che la trascrizione non rende.

Non ha parlato della sua visita in generale, ma si è riferito a una situazione particolare, perché durante l’incontro con i giovani a Solmoe una ragazza cambogiana ha fatto riferimento al fatto che il suo Paese non ha un santo canonizzato. In realtà, c’è un martire, il primo vescovo, sulle virtù eroiche del quale è in corso un processo. Il Papa è rimasto profondamente colpito dal fatto che una ragazza così giovane si sia posta una domanda del genere. Lo abbiamo visto del resto già nell’incontro. Questo lo ha colpito profondamente e lo ha ripetuto, anche perché c’era un gesuita coreano che vive in Cambogia. C’erano, quindi, pure Gesuiti che vivono in altri luoghi.

Ecco dunque le parole che il Papa ha detto in maniera del tutto semplice e informale che trascrivo dalla registrazione del suo discorso che ho fatto con il mio iPhone (p. Antonio Spadaro S.I.)

“C’è una parola che mi prende molto: consolazione. Consolazione: la presenza di Dio in qualunque sua modalità. Nostro Santo Padre Sant’Ignazio sempre cerca di confermare la decisione della riforma di vita o della elezione di stato di vita attraverso il secondo modo di «elezione»: la consolazione. Consolazione è una parola bella per chi la riceve. Però è difficile dare consolazione.

Quando leggo il libro della Consolazione del Profeta Isaia leggo che è un lavoro proprio di Dio quello di consolare, consolare il suo popolo. Quando uno vive un limite doloroso, se lo sa fare con amore, diventa un seme di consolazione per questa persona.

Il popolo di Dio necessita consolazione, di essere consolato, il consuelo. Io penso che la Chiesa sia un ospedale da campo in questo momento. Il popolo di Dio ci chiede di essere consolato. Tante ferite, tante ferite che hanno bisogno di consolazione… Dobbiamo ascoltare la parola di Isaia: Consolate, consolate il mio popolo!

Non ci sono ferite che non possono essere consolate dall’amore di Dio. Noi in tal maniera dobbiamo vivere: cercando Gesù Cristo in modo da portare questo amore a consolare le ferite, a curare le ferite.

Questa sera un gruppo di giovani ha rappresentato la parabola del figlio prodigo. Rappresenta bene qual è l’atteggiamento di Dio davanti alle nostre ferite.

Dio consola sempre, spera sempre, dimentica sempre, perdona sempre.

Ci sono molte ferite nella Chiesa. Ferite che molte volte provochiamo noi stessi, cattolici praticanti e ministri della Chiesa.

Non castigate più il popolo di Dio! Consolate il popolo di Dio! Tante volte il nostro atteggiamento clericale cagiona il clericalismo che fa tanto danno alla Chiesa. Essere sacerdote non dà lo status di chierici di stato, ma di pastore. Per favore, siate pastori e non chierici di stato. E quando siete nel confessionale ricordatevi che Dio non si stanca mai di perdonare. Siate misericordiosi!

Vi ringrazio tanto!

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