Riflessione di mons. Gianfranco Ravasi (L’Osservatore Romano, 22 maggio 2011).

Il 21 luglio di cento anni fa nasceva a Edmonton, capitale dello Stato canadese dell’Alberta e grosso centro agricolo, industriale e commerciale, Herbert Marshall McLuhan, il cui nome sarebbe divenuto una sorta di vessillo nell’orizzonte sempre più vasto della comunicazione di massa. Ben presto lo slogan «Il mezzo è il messaggio», ingiusta e un po’ banale semplificazione della sua ricerca, si sarebbe trasferito sulle labbra di tanti conferenzieri, e opere come appunto Il medium e il messaggio o La galassia Gutenberg o La città come aula scolastica sarebbero entrate in tutte le biblioteche, perché considerate un «aggiornamento» indispensabile. I suoi asserti, spesso incisivi, colpivano un’evoluzione sempre più accelerata della comunicazione secondo la quale «i modelli di eloquenza non sono più i classici, ma le agenzie pubblicitarie (…) con le quali la moderna Cappuccetto Rosso non avrebbe nulla in contrario a lasciarsi mangiare dal lupo», come scriveva nella sua raccolta di saggi sul «folclore dell’uomo industriale» La sposa meccanica (1955).

Ebbene, a distanza di pochi decenni, le sue pagine e le sue teorie, pur suggestive e sempre dotate di echi permanenti, rischiano di sembrare impolverate o di essere simili a voci che provengono da una remota e pur nobile età del ferro. Ad esempio, il ritratto del fenomeno televisivo e dei suoi eccessi che un grande regista come l’appena scomparso Sidney Lumet metteva in scena nel suo attraente Quinto potere (1976) — significativamente intitolato nell’originale americano Network — da allora ha visto ulteriori e sorprendenti scenari, capaci di stupire lo stesso McLuhan, oltre che Lumet, per non parlare dell’Orson Welles del celeberrimoQuarto potere (1941), l’archetipo di questo genere.

Il segno più rilevante di questo mutamento che un sociologo americano, John Barlow, ha comparato alla scoperta del fuoco, è nel fatto che per la civiltà contemporanea la comunicazione non è più uno strumento simile a una protesi dei nostri sensi come supponeva McLuhan, ma un «ambiente» totale, un’atmosfera globale che avvolge e penetra tutto e tutti.

Uno degli emblemi più significativi è certamente il blog, il fitto reticolo comunicativo che ormai ha avvolto l’intero nostro pianeta. È per questo che due dicasteri della Santa Sede, il Pontificio Consiglio della Cultura e il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, hanno deciso di proporre il 2 maggio scorso, a ridosso del grande evento della beatificazione di Giovanni Paolo II, un incontro tra i bloggers, possibilmente rappresentanti i 157 milioni di abitanti della blogsfera sparsi in tutto il mondo (nonostante «Wired Magazine», nel 2008, avesse annunciato la morte dei blog!).

Non si è trattato, quindi, di un incontro dei bloggers cattolici ma di tutti questi variopinti frequentatori delle pagine della rete, con il loro linguaggio speciale, colorito, soprattutto conciso, quasi ridotto a una sorta di codice. Essi, infatti, non amano i lunghi discorsi e le conferenze, ma i dibattiti on line in diretta, con il sistema del «botta e risposta», quasi come in uno scambio tennistico di impressioni, valutazioni, giudizi, a volte taglienti, comunque diretti e fulminei.

Un appuntamento organizzato attraverso una semplice e-mail, diventata immediatamente viral, che in pochi giorni ha prodotto 750 richieste di partecipazione. Motivi logistici hanno costretto gli organizzatori a scelte non facili, visto che la disponibilità nella sede dell’incontro era di soli 150 posti: cinquanta bloggers sono stati selezionati per garantire la rappresentatività geografica e tematica; altri cento sono stati scelti, invece, attraverso un sorteggio.

In questa cornice suggestiva l’incontro è stato programmato su due panels: il primo ha avuto come protagonisti i bloggers, mentre il secondo ha visto intervenire alcuni rappresentanti della Chiesa impegnati a offrire possibili risposte alle suggestioni presentate dagli interventi e dalle proposte concrete di coloro che frequentano il mondo interattivo del Web 2.0.

I bloggers hanno manifestato, attraverso le loro tipiche modalità espressive, il desiderio di far sentire la loro voce, facendola giungere anche alla Chiesa. Nel contempo hanno chiesto alla Chiesa di accogliere l’interazione, senza temere di adottare un linguaggio talvolta indipendente e anticonformista. Hanno indicato potenzialità enormi per il futuro della comunicazione ecclesiale, con un dibattito onesto e chiaro: esso, anche se non consente di guardare negli occhi l’interlocutore, tuttavia crea un canale comunicativo che arriva alla mente e al cuore anche di persone che non frequentano la Chiesa.

È, dunque, necessario riconoscere la rilevanza di questo fenomeno che si origina dalla base, qualificandosi come popolare, non di nicchia, e che rivela, però, una specifica dimensione culturale. Certo, si tratta di un mondo particolarmente incandescente, portatore degli aspetti più creativi della capacità umana ma, insieme, destinato a inglobare le contraddizioni e persino le possibili degenerazioni del pensiero e della cultura.

È indubbio, tuttavia, che non è possibile ignorare una realtà che assume sempre più le caratteristiche di «movimento culturale», capace di intercettare e interagire con un pubblico dalle cifre incontrollabili. Potremmo dire che siamo nelle nuove piazze e nelle nuove cattedrali, spazi virtuali certo, ma abitati da persone che comunicano, esprimono idee, raccontano storie e pongono interrogativi, attendono risposte. Non possiamo, allora, evitare questa richiesta di dialogo, pur tenendo conto che l’esigenza proviene da un mondo fluido, complesso, articolato e in fibrillazione continua.

La varietà delle presenze ha, così, lasciato spazio a idee e temi, delineati dagli interventi dei partecipanti a questo incontro — per tanti aspetti inedito in ambito vaticano — e sviluppati ininterrottamente nella blogsfera. Un contesto in cui si respirava attesa e contemporaneamente desiderio di condividere, di narrare ad altri la propria esperienza di abitanti della rete e del mondo reale.

Si è colta l’aspettativa di creare familiarità, amicizia, comunicazione tra mondi diversi, talvolta antitetici o messi artificialmente in contrapposizione, di dare forma a un mosaico di volti, di parole, di contenuti che superano lo steccato del formalismo e dei paludamenti che possono frenare l’incontro con tante persone che attendono di essere capite nelle loro originali forme espressive.

L’esigenza di libertà si respirava in tutti i presenti, ma anche la disponibilità ad assumere un ruolo di responsabilità nella comunicazione, consapevoli di non essere dei corsari della rete, cavalieri on line dediti a scorribande e incursioni per creare scompiglio, ma protagonisti di un codice comunicativo diverso, dotato di regole proprie.

Il desiderio che reggeva noi, organizzatori di questo evento era, dunque, quello di accogliere, capire, ascoltare le richieste, le speranze, i timori, i dubbi, le aspirazioni e le problematiche di questa vastissima comunità che segue la vita della Chiesa più di quanto noi possiamo immaginare.

Da qui è apparsa la necessità, espressa in maniera chiara durante l’incontro, di decifrare la mentalità, la cultura e la filosofia che anima i bloggers, così che la Chiesa sia capace di una nuova evangelizzazione e di incidere nell’opinione pubblica, imparando a essere interattiva e non ancorata solo alla comunicazione di stampo piramidale che è piuttosto estranea alla cultura del nostro tempo. Si può, così, superare una comunicazione soltanto unidirezionale, senza possibilità di dialogo e di scambio, destinata a lasciare un’impressione di rigidità e di autoreferenzialità.

Rimane come dato inconfutabile che la cultura e la filosofia dei bloggers necessitano di essere decodificate, cercando di superare il pregiudizio che si tratti di una comunicazione non pensata e istintiva. Nel blog non siamo di fronte solo a una casella postale a velocità digitale, in cui le notizie si scambiano in tempo reale e ognuno afferma quello che vuole e come vuole, quasi un notiziario on line in cui tutti possono aggiungere, senza alcuna spesa, le proprie informazioni e riceverne in cambio.

Questo è, certo, un aspetto della blogsfera, ma bisogna segnalare soprattutto la dimensione culturale del fenomeno, anzi, esistenziale: siamo in presenza di a way of life, «uno stile di vita». Infatti, il Web-log (denominazione originaria del blog) è un diario di bordo in formato elettronico che non registra solo i fatti ma li commenta secondo la sensibilità personale, è una riflessione sull’attualità e, per certi versi, un’interpretazione dell’esistenza.

In questa prospettiva va seguito con estremo interesse anche il passaggio dal blogging al micro-blogging che sta assumendo un ruolo sempre più dominante, capace di eludere le censure dei regimi, i tentativi di oscurare eventi e situazioni conflittuali esplosive. Solo a titolo di esempio citiamo il movimento dell’Arab Spring Uprising 2011, a tutti noto: esso è stato condotto anche attraverso il microblogging, per organizzare proteste, adunate in piazza, convocazioni di massa a sorpresa.

Per rendere l’idea del fenomeno pensiamo soltanto al fatto che il nostro incontro del 2 maggio ha originato più di 80.000 tweets. Un tweet (dal verbo inglese «cinguettare») è un testo di 140 caratteri inviato da un utente Twitter a tutti coloro che lo seguono, i suoi followers. Ovviamente, con 140 caratteri a disposizione, la sfida si concentra sull’essere il più concisi possibile.

I tweets possono essere contrassegnati tematicamente da una parola chiave detta hashtag (#). I tweets dedicati al Vatican Blogger Meeting 2011 — contrassegnati dalla parola chiave # vbm11 — hanno raggiunto subito lo status di trending, cioè sono entrati nella lista dei dieci argomenti più popolari su Twitter in quel momento, affiancando i commenti sulla notizia della morte di Osama bin Laden, anch’essa annunciata su Twitter.

Un tweet tra le migliaia raccolte dagli organizzatori affermava: «One of the Top Catholic Stories for 2011 is definitely going to be the Beatification of jpii. #vbm11 will also make the list this year».

Una modalità comunicativa di questo genere apre orizzonti sorprendenti non solo per la pubblicità, ma per la stessa formazione umana e culturale. Proprio in questa linea si dovrebbe studiare il blog e la rete dei bloggers, creando spazi di dibattito e di confronto tematicamente inusuali ma non per questo meno efficaci e incisivi.

Si tratta dei cosiddetti new pockets of dialogue, piccoli gruppi di riflessione, capaci di intercettare altri, singoli o gruppi, alla ricerca di confronto e di risposte su temi oggi molto sensibili.

Lo spazio profano e quello sacro, dunque, stanno trovando una nuova modalità di connessione, che inaugura un vero e proprio «Cortile dei Gentili» in rete dalle possibilità illimitate. L’incontro del 2 maggio ci ha fatto comprendere che sta sorgendo una nuova realtà che comunica emozioni, sentimenti, moti dell’anima, opinioni, racconti secondo una modalità inedita che lo stesso McLuhan non avrebbe mai sospettato. Pensando ai bloggers e ai loro testi lapidari, sincopati, qualche volta al limite dell’ermetismo, viene in mente un aforisma del filosofo greco Talete (VII-vi prima dell’era cristiana): «Molte parole non sono mai indizio di molta sapienza».

Cerchiamo allora di evocare alcune proposte emerse in questo dialogo, scegliendo le più suggestive, le più interessanti e un po’ provocatorie, per mettere in luce la necessità di non lasciare che questo incontro dei bloggers rimanga solo un evento da consegnare agli annali della storia, ma diventi il primo passo di un lungo cammino in ascolto di tante persone che desiderano parlare con noi.

La prima suggestione ha come riferimento la prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid, con la richiesta di organizzare in quella cornice un altro incontro dei bloggers. Una seconda proposta suggeriva di consegnare pure ad alcuni bloggers le stesse cartelle informative che solitamente vengono date, sotto embargo, dalla Santa Sede alla stampa. Si è anche suggerito di iniziare una forma di accreditamento dei bloggers per i grandi eventi ecclesiali, come avviene per gli inviati dei mezzi di comunicazione più usuali, in video, audio e stampa.

È stata avanzata anche la possibilità di dare una forma di oversight(«supervisione») ai blogs cattolici, mentre altri affermavano giustamente di non sottovalutare l’esigenza di libertà. Inoltre, è stato fatto presente che molti giornali, riviste, notizie e contenuti di eventi ecclesiali convergono nei blogs e questo modus operandi ha già dato un notevole contributo alla nuova evangelizzazione, pur considerando le non poche caratteristiche di contestazione presenti nella blogsfera.

Degna di menzione è stata la proposta di pensare all’accesso ai futuri news portals ai portatori di handicap. Da ultimo segnaliamo l’insistenza per l’uso del sistema «multilinguaggi» nei portali di notizie. Queste sono solo alcune delle tante proposte lanciate e che continuano a navigare in rete. Non commentiamo queste proposte, ma le rilanciamo dalle colonne di un giornale molto significativo come «L’Osservatore Romano».

Per certi versi il Vatican Meeting for Bloggers è entrato a far parte della storia della comunicazione. La storia è l’esperienza che prende una forma e una direzione. In questo senso ritengo che l’incontro abbia fatto confluire esperienze diverse e ha dato loro una forma. Non c’erano obiettivi rigidi da raggiungere, ma realtà e desideri da verificare, dal momento che nessuno sapeva bene cosa aspettarsi dall’incontro.

Non c’era un programma predefinito su temi e questioni da trattare, ma solamente una struttura per poter permettere uno scambio. Le parole di padre Federico Lombardi sono state significative: «I blogger cattolici rappresentano una porzione rilevante dell’opinione pubblica nella Chiesa. Il magistero conciliare già prevedeva questa realtà». E ancora: «L’ego è un elemento problematico ma significativo della realtà dei blogger. Lo vedo come un problema su cui riflettere anche dal punto di vista esistenziale, anche perché noi viviamo il nostro lavoro di comunicatori sulla parola “servizio”. Nella comunicazione la dimensione del servizio al mio interlocutore è la chiave. È un servizio alla crescita della comunità umana nella democrazia, nel rispetto e nel dialogo».

A un certo punto dell’incontro la parola «ascolto» ha fatto breccia ed è stata ripetuta più volte, mentre il twitter feed si aggiornava ritmicamente e ad alta velocità registrava gli umori, le idee, i pensieri e i «feedback» non solo di chi era in sala ma anche di gente che partecipava all’evento via internet. Non ci sono impegni fissi per il futuro, perché il meeting non si è concluso con appuntamenti precisi. Comunque è chiaro che proprio la mancanza di impegni definiti mobilita la fantasia e sta creando nella blogsfera un pullulare di idee e progetti. Il meeting, quindi, continuerà a vivere proprio in quella rete di comunicazione che ormai avvolge tutto il pianeta.

 

  1. Armas says:

    Un senso di stordimento da tutto il discorso che si avvita su se stesso, oltre che non funziona per chi non ha costanza in questo genere, in prima battuta, di perditempo. Scusate la sincerità.

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