6129587894_a53b002dc5

È in corso la Social Media Week, evento internazionale dedicato al Web, alla Tecnologia, all’Innovazione e ai Social Media. Una settimana di incontri ed esperienze che, dal 22 al 26 settembre, si svolge in contemporanea in 11 città del mondo: Londra, Berlino, Johannesburg, Los Angeles, Sao Paulo, Sydney, Mumbai, Miami, Rotterdam, Chicago e Roma. Dunque un evento globale e locale. Il tema è affascinante: Re-immaginare la connettività umana. In contemporanea il  Foreign & Commonwealth Office a Londra sta organizzando una settimana di eventi in tutto il suo network globale, come parte di un programma più ampio per sviluppare la capacità del suo staff di implementare il digitale nella comunicazione, nella fornitura di servizi, nella costruzione di politiche. Inoltre, dal 22 al 24 settembre, in Vaticano si riunisce il Comitato per proporre una riforma dei Media Vaticani. La Commissione, che comprende anche membri non interni al Vaticano stesso, sta elaborando un piano e un metodo di lavoro.

In questo contesto di eventi ho rivolto all’Ambasciatore del Regno Unito presso la Santa Sede Nigel Baker alcune domande, conoscendo la sua attenzione per la diplomazia digitale.

Quando e perché l’Ambasciata britannica presso la Santa Sede ha deciso di avere una presenza significativa nei network sociali? Come è nata l’idea e in che cosa consiste esattamente questa presenza?

Come Ambasciatore britannico in Bolivia (2007-11), avevo già visto il potenziale dei social network. Scrivevo un blog in inglese e spagnolo, maggiormente diretto ad un pubblico boliviano, ma che aveva lettori in tutto il mondo. Mi sono quindi reso conto come, per un’Ambasciata che ha risorse limitate, i social media fossero un modo eccellente di far arrivare i nostri messaggi ad un pubblico più vasto; per ascoltare l’opinione di questo nostro pubblico interessato, e rispondere a loro.

Ma al lavoro diplomatico non è legata anche una certa discrezione? Come si coniuga comunicazione digitale e discrezione?

Nonostante la discrezione faccia ancora molto parte della vita e del lavoro di ogni diplomatico, dobbiamo anche essere dei comunicatori, ed assicurarci che quello che facciamo abbia rilevanza con il mondo in cambiamento e dinamico intorno a noi. Per esempio, il pubblico britannico, che paga per questa Ambasciata attraverso le tasse, ha il diritto di sapere cosa l’Ambasciata Britannica presso la Santa Sede stia facendo per loro conto. Quello che ho capito a Roma fin dall’inizio, era l’esistenza di una sfida reale nel dimostrare che questa era un’Ambasciata focalizzata non solo sugli affari interni del Vaticano, ma accreditata ed impegnata con iI network globale più esteso al mondo: il network della Santa Sede.

E i social network certo non rispettano i confini nazionali…

No, certo, e sono il mezzo par excellence del mondo interconnesso. Proprio per questo sono uno strumento ideale per comunicare con la Santa Sede a livello globale, abbattendo le gerarchie e l’aureola di mistero che inutilmente circonda la Santa Sede; e per delineare il nostro posto sulle molte questioni di interesse al Governo di Sua Maestà nel suo operare con la Santa Sede: dallo sviluppo Internazionale alla pena di morte, dalla situazione in Medio Oriente alla preoccupazione in Africa. Il mio collega a Beirut, l’Ambasciatore Tom Fletcher, lo delinea molto bene nel suo blog, “The Naked Diplomat”.

I feedback del “pubblico” sono stati buoni? Cosa può dedurre dalle risposte che riceve?

La mia convinzione iniziale è stata sicuramente confermata dalla risposta. Il mio blog, pubblicato sulle piattaforme del Foreign Office ed anche commerciali, so che è letto da molte persone in Vaticano ed oltre. Abbiamo lettori dalle Filippine ed Australia, India e Stati Uniti d’America, come anche dal Regno Unito; pubblico che altrimenti non avrei mai raggiunto. Dal 2011, abbiamo lavorato per rendere il nostro canale Twitter vivo, dinamico ed interessante, e lo abbiamo usato per svolgere molti eventi, da sessioni di Q&A a concorsi – più di 6,300 follower suggeriscono che stia funzionando.

Lei parla di testi e di lettori, ma le immagini? Non sono più potenti di molte parole?

Un’immagine è essenziale per una migliore comprensione della Santa Sede alle persone, così sia Twitter che Flickr sono strumenti meravigliosi di comunicazione visuale.

E poi immagino che le piattaforme digitali incrementino i vostri contatti…

Usiamo anche LinkedIn, sia come piattaforma per il blog, ma anche per sviluppare una serie più vasta di contatti. Niente di questo è particolarmente rivoluzionario, ed ho notato che sempre più Ambasciate presso la Santa Sede hanno iniziato a seguire la nostra strada. C’è bisogno di qualche sforzo, di risorse, ma credo ne valga la pena. Tutto il mio team dell’Ambasciata ne è coinvolto.

Oggi si comincia a parlare di “Digital diplomacy” o eDiplomacy. The Foreign and Commonwealth Office ha una strategia al riguardo, e la definisce come “solving foreign policy problems using the internet”. Potrebbe spiegarci meglio questo concetto?

Vorrei fare qualche esempio, se posso. Il Foreign Office tiene i cittadini britannici informati sugli aggiornamenti essenziali per viaggiare all’estero sicuri attraverso i suoi canali digitali. Svolge una azione di monitoraggio di quei canali, specialmente nelle situazioni di crisi, in cui i social media ci permettono di dare informazioni in tempo reale a coloro i quali ne sono coinvolti; rispondendo alle richieste più importanti. Gli Ambasciatori usano i social network per raccontare del loro lavoro, per estendere l’influenza del Regno Unito, per rettificare false informazioni direttamente, se necessario. Il Foreign Office usa i canali digitali per aiutare a rafforzare gli obiettivi di importanti conferenze, eventi, visite, per esempio realizzando un ampio impegno con la Diaspora Somala prima della Conferenza sulla Somalia organizzata dal Regno Unito, oppure la grande partecipazione digitale nel mondo durante il recente Summit globale sulla Fine della Violenza Sessuale nei Conflitti. Abbiamo trasferito online il nostro Rapporto sui Diritti Umani, cosa che ci ha permesso di passare a pubblicare Relazioni più di frequente ed invitare il pubblico a commentare. Il Foreign Office finanzia progetti per la promozione della libertà di internet. Lo scorso anno abbiamo organizzato un’importante conferenza per dare impulso ad un lavoro internazionale sul futuro del cyberspazio.

Una attività intensa che si potrebbe definire di coinvolgimento ampio di persone a vari livelli: dal cittadino interessato fino all’esperto…

Sì, infatti. Internet ci offre crescente accesso alle persone interessate, direttamente e indirettamente, alle questioni principali internazionali, e a coloro i quali sono influenti nei dibattiti che contano. Ascoltando e impegnandosi con loro, abbiamo una comprensione migliore di quale siano le questioni e come possiamo aiutare per risolverle. Possiamo anche coinvolgere le persone più direttamente nel nostro lavoro politico, per esempio assegnando a gruppi esterni il compito di raccogliere reazioni sul nostro Rapporto sui Diritti Umani. Possiamo raggiungere gli esperti di questioni locali attraverso Twitter e LinkedIn, per avere un punto di vista più sfumato su come (ad esempio) commercio, energia o affari sociali possano avere un impatto diverso su persone in paesi differenti. E come ho già accennato, in Rete possiamo comunicare meglio il nostro lavoro politico, così che le persone possano capire perché stiamo facendo ciò che facciamo, e come questo possa aiutare ad affrontare quelle questioni. Per me, la domanda principale che un qualunque servizio estero si deve porre non dovrebbe essere: “Abbiamo bisogno di essere digitali?”. Dovrebbe essere: “Ci possiamo permettere di non essere presenti nello spazio digitale?” Per il Regno Unito , la risposta è un sonoro “no”.

Quali sono i vantaggi principali che avete potuto verificare? Avete notaio anche qualche problema o qualche aspetto da migliorare?

Credo che i vantaggi principali comprendano il raggiungere persone con cui i diplomatici tradizionalmente non avevano contatti. Questa può essere anche una sfida, perché inevitabilmente la presenza digitale implica che ci esponiamo ad un mondo più ampio dei chiusi “corridoi di potere” di una volta. Ci offre una comprensione più sfumata dei luoghi, persone e questioni con cui abbiamo a che fare. La capacità di rivolgere i nostri i messaggi in maniera più accurata. Di conseguenza è possibile trasmettere le informazioni in modo più appropriato a diverse platee. La comunicazione è una strada a due corsie: ascoltiamo oltre che parlare. È proprio l’ascolto che ci aiuta a testare idee politiche più velocemente e facilmente. L’ascolto inoltre ci abilita di rispondere più rapidamente ad eventi che cambiano, particolarmente nelle situazioni di crisi. Di nuovo qualcosa che può anche costituire una sfida.

Questo ascolto ha un effetto sui servizi che offrite, immagino. Ascoltare significa essere attenti alle esigenze reali…

Ascoltando le esigenze, possiamo offrire ai cittadini britannici un accesso migliore ai servizi e transazioni fornite dal governo. E questo è particolarmente utile quando si trovano all’estero. Significa anche che possiamo utilizzare la nostra estesa rete globale di ambasciate ed altre missioni in maniera relamente universale. Per esempio, quando il nostro team di Londra che lavora sul tema della pena di morte vuole inviare un messaggio ad una pubblico variegato, sa che la mia Ambasciata ha accesso ad un vasto pubblico, in larga parte cattolico. Allo stesso tempo, possono raggiungere, attraverso le altre missioni ed i loro follower, platee completamente differenti, ovunque. Forse per la prima volta, in questo modo, la diplomazia diventa realmente globale.

Immagino che non sia stato semplice imparare un nuovo linguaggio, vivere nell’ambiente digitale…

Le sfide sono reali. Il Foreign Office è una solida organizzazione e questo è uno scenario che si muove ed evolve rapidamente; pertanto ci saranno sempre aspetti da migliorare. Non è stato sempre semplice adattarsi ad una nuova e più aperta maniera di parlare di cosa facciamo, imparare un nuovo linguaggio che si addica alle piattaforme sulle quali siamo presenti, capire meglio come coinvolgere le persone invece di trasmettere semplicemente messaggi. Quello che ho imparato sulla mia professione quando sono diventato diplomatico nel 1989 rimane pertinente, ma il digitale richiede anche di fare le cose in modo differente e la necessità di sviluppare nuove abilità – la segretezza ed esclusività della valigia diplomatica non è più in uso! Dobbiamo sviluppare una voce peculiare in una rete internet affollata di opinioni.

E si deve capire quando è il tempo di scrivere e quando è il tempo di tacere…

Certamente, dobbiamo comprendere quando sia meglio non scrivere. Una volta uscite, le nostre opinioni non potranno essere mai cancellate.

Anche la Santa Sede ha una forte presenza digitale e il Santo Padre è presente su Twitter. Come valuta questa presenza? 

Papa Francesco è stato molto chiaro nell’Evangelii Gaudium. Se la Chiesa non riesce a comunicare il suo messaggio, è moribonda. La sua raison d’etre è legata al Vangelo, alla Buona Novella, e sottolineo qui la “Novella”. Allo stesso tempo, deve operare attraverso un network globale di molteplici lingue, culture, idee ed opinioni. Una delle difficoltà principali della Santa Sede prima dell’era digitale è stata che, troppo spesso, la sua voce è stata interpretata, filtrata, e qualche volta tradotta male da altri – i media globali – che, come intermediari, venivano spesso sentiti più chiaramente della fonte originale d’informazione. Impegnarsi nel digitale permette alla Santa Sede di far sentire la sua voce direttamente. Per un diplomatico accreditato alla Santa Sede, ricevere il messaggio non filtrato, rapidamente e in maniera succinta, ha un valore enorme.

Che cosa ha pensato quando Benedetto XVI ha deciso di essere presente su Twitter?

Sono stato quindi lietissimo di vedere l’inizio dell’esperimento della Santa Sede su Twitter. È stato chiaramente un successo. I critici avevano detto che messaggi complessi non possono essere trasmessi in 140 caratteri. Credo che Benedetto XVI e adesso Papa Francesco abbiano dimostrato che le critiche fossero sbagliate. Per prima cosa, il messaggio non deve essere troppo complicato. La disciplina di ridurre ciò che vogliamo dire alla sua essenza è preziosa – chi è stato a dire che Gesù si sarebbe trovato a suo agio su Twitter? In secondo luogo, la portata è realmente straordinaria. Molte lingue, milioni di follower, e con ogni tweet che viene ritwittato, il Papa può raggiungere milioni di persone nel giro di qualche secondo. Siamo stati lietissimi quando Papa Francesco ha deciso di inviare il suo supporto agli sforzi del mio governo di porre fine alla violenza sessuale nei conflitti, con un tweet che ha avuto un enorme impatto su tutti coloro che ne sono coinvolti, dai governi ai difensori dei diritti umani. Come un grande insegnante, Papa Benedetto ha visto il bisogno. Come un grande comunicatore, Papa Francesco lo ha portato su un’altra dimensione. Questo continuerà di sicuro. Non c’è ritorno.

(Antonio Spadaro SJ)

 

 

 

 

 

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.