Ripropongo qui un mio articolo apparso su Avvenire del 9 settembre 2012 col titolo “Dobbiamo indagare l’ontologia del nuovo mondo ibrido” all’interno di un dibattito dal titolo “Realtà. Duale, digitale o aumentata?”. Con Chiara Giaccardi – autrice di un’altra riflessione sulla stessa pagina del quotidiano dal titolo “Online/offline? Per i nostri figli non c’è differenza” – abbiamo discusso sul tema a partire da un post del sito di Nathan Jurgenson dal titolo Digital Dualism versus Augmented Reality.

L’irruzione dei social network nelle nostre vite impone nuove domande sul rapporto tra l’esistenza sul web e quelal in carne e ossa: si escludono, si ostacolano, si completano? Ma in fondo non è che la versione aggiornata dell’antica esigenza di coniugare spirito e materia.

Le nuove tecnologie digitali e i social network non sono più interpretabili come semplici strumenti tecnologici, ma creano un ambiente che determina uno stile di pensiero, contribuendo a definire un modo nuovo di stringere le relazioni, addirittura un modo di abitare il mondo e di organizzarlo. Non si tratta di un ambiente separato, ma sempre più integrato, connesso con quello della vita quotidiana. Non un luogo specifico all’interno del quale entrare in alcuni momenti per vivere online, e da cui uscire per rientrare nella vita offline. Una delle sfide maggiori oggi è quella di non vedere nella Rete una realtà parallela, ma uno spazio antropologico interconnesso in radice con gli altri della nostra vita. Invece di farci uscire dal nostro mondo per solcare il mondo virtuale, la tecnologia ha fatto entrare il mondo digitale dentro il nostro mondo ordinario. I media digitali non sono porte di uscita dalla realtà, ma estensioni capaci di arricchire la nostra capacità di vivere le relazioni e scambiare informazioni. La Rete sembra essere un vero e proprio tessuto connettivo attraverso il quale esprimiamo la nostra identità e la nostra stessa presenza sociale. La sfida, dunque, non deve essere quella di come usare bene la Rete, come spesso si crede, ma come vivere bene al tempo della Rete. Finché si manterrà il dualismo on/off si moltiplicheranno le alienazioni.

 

Finché si dirà che bisogna uscire dalla relazioni in Rete per vivere relazioni reali si confermerà la schizofrenia di una generazione che vive l’ambiente digitale come un ambiente puramente ludico in cui si mette in gioco un secondo sé, un’identità doppia che vive di banalità effimere, come in una bolla priva di realismo fisico, di contatto reale con il mondo e con gli altri. La sfida non è solamente etica ma anche profondamente spirituale. Il vero nucleo problematico della questione che stiamo affrontando è dato dal fatto che l’esistenza virtuale appare configurarsi con uno statuto ontologico incerto: prescinde dalla presenza fisica, ma offre una forma, a volte anche vivida, di presenza sociale. Essa, certo, non è un semplice prodotto della coscienza, un’immagine della mente, ma non è neanche una realtà oggettiva ordinaria, anche perché esiste solo nell’accadere dell’interazione. Si apre davanti a noi un mondo ibrido, che interroga il significato della presenza, la cui ontologia andrebbe indagata meglio. Vivere le dinamiche delle reti sociali non significa giocare, ma vivere la realtà della propria vita. O almeno questo deve essere l’obiettivo: essere se stessi. Benedetto XVI nel suo messaggio per la XLV Giornata delle comunicazioni ha giustamente ricordato che «le dinamiche proprie dei social network mostrano che una persona è sempre coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali». In quel messaggio il Papa ha chiaramente oltrepassato il dualismo. A questo punto i paradigmi concettuali della realtà virtuale si percepiscono in tutta la loro fragilità. In che modo possiamo definire questa realtà complessa in cui si giocano più livelli di esistenza?

 

Nathan Jurgenson  propone il paradigma della realtà aumentata.
È valido questo paradigma? Il cuore della questione consiste nel fatto che una rigida distinzione duale tra naturale e artificiale, mente e corpo, res cogitans e res extensa non rende più ragione della realtà complessa che viviamo.

Ed è interessante che il riferimento teorico di Jurgenson sia Donna Haraway e il suo Cyborg Manifesto. La Haraway, pur avendo perso la fede, riconduce le basi della sua teoria dall’educazione cattolica ricevuta, affermando: «Il simbolismo e il sacramentalismo cattolici, le dottrine dell’incarnazione e della transustanziazione hanno profondamente influenzato la mia formazione».

 

Mi vado convincendo – e ho provato a dimostrarlo nel mio libro Cyberteologia. Pensare il cristianesimo al tempo della Rete – che per parlare di internet e della realtà al tempo della Rete non si può che usare un linguaggio teologico.
Chiaramente il sacramento è un segno visibile ed efficiace della grazia: non genera solamente informazione. Ma l’intuizione della Haraway, sebbene opinabile e problematica nei suoi esiti, parte dall’intuizione giusta: è il concetto di sacramento che può davvero aiutarci a capire la realtà al tempo dei media digitali. Soprattutto perché non ammette dualismi. La profetica complessità di Teilhard de Chardin aveva intuito il necessario crollo del dualismo, ad esempio, in un passaggio per certi versi sconcertante de L’energia umana quando afferma: «Ogni passo avanti realizzato dall’Uomo nella meccanizzazione del Mondo travalica il piano della Materia. Si aggiunge infatti alle nuove possibilità che nascono dai perfezionamenti arrecati alla materia organizzata per determinare nell’individuo un a
ccrescimento dell’energia spirituale».

 

  1. paolo callari says:

    Carissimo Padre Spadaro
    la rete, telefonica prima “virtuale” oggi, completa di immagini e colori, ci rende tutti editori di noi stessi. Ricordo le canzoni ” buona sera dottore ” e ” piange il telefono ” e mi portano a Dante ” l’Amor che move il sole e l’altrui stelle”. La rete unisce nel sacramento contrario al “tagliatore” delle relazioni ma bisogna stare molto attenti a chi è il nostro interlocutore o lettore parallelo o verticale. L’amore non ha una “tecnologia” vincente piuttosto che un’altra, l’amore è quell’attrazione che provoca ogni cosa, se Adamo non avesse mangiato la mela…sarebbe morto di fame.
    La rete ci mette in contatto con i Sacerdoti missionari ed evolve le conoscenze di chi vuole erudirsi se messo in condizione di scegliere i canali, numerosi il più possibile, per una lettura critica dei fatti che ci circondano.
    p.c.

  2. Paolo Gobbini says:

    Rev. padre, alcune riflessioni sul suo interessante articolo e su quello di Nathan Jurgenson.
    1. Sarà indizio della mia non più giovane età e dei miei limiti, ma non trovo “semplici” come lei scrive, gli strumenti tecnologici digitali e i social network.
    2. In che senso l’esistenza virtuale “prescinde dalla presenza fisica”? L’esistenza virtuale non prescinde dal corpo che digita e vede, e tramite il digitare ed il vedere interagisce sulla rete.
    3. Nel titolo sono accostati tre attributi “duale, digitale o aumentata” riferiti a “Realtà”, intendendo così delineare tre possibili modi di intendere ed evolvere/involvere della realtà; ma il secondo aggettivo (digitale) non è già compreso nel primo (duale) come una delle due dimensioni in antitesi a fisico?
    4. Internet ha senza dubbio aumentato enormemente la conoscibilità del mondo e la socializzazione. Ma con dei limiti, soprattutto circa la socializzazione; infatti interagisco con persone che non ho mai incontrato in carne ed ossa, annusando il loro odore o toccando il loro corpo, dimensioni corporee della conoscenza interpersonale non ancora digitalizzate. Ergo l’esistenza virtuale se da un lato è potentemente aumentata, dall’altro è tremendamente diminuita, una nuova forma di interazione personale, per un verso slegata dai vincoli spazio-temporali propri dell’esistenza “ordinaria” e proiettata in una dimensione universale-istantanea che aumenta la realtà, per l’altro verso la realtà conosciuta è ridotta al mero dato informativo, smaterializzata.
    5. Intrigante la proposta di interpretare la realtà (aumentata) al tempo della rete
    attraverso il concetto di sacramento, ma rimane appunto tutta da indagare l’ontologia della realtà ibrida/aumentata/non duale. A tal proposito ritengo che le distinzioni non siano mai irrilevanti (Jurgenson sostiene il contrario), ma esse non vanno confuse con le separazioni/contrapposizioni proprie del dualismo. Una volta evitato il pericolo del dualismo, va evitato anche il pericolo del monismo, altrettanto riduttivo.
    6. Anche la rigida separazione operata da Jrgenson tra “atomi e bit” rischia di essere un dualismo, riduttivo e falso, superato dalla scienza stessa. Infatti, gli atomi e le particelle subatomiche non sono materia bruta, ma contengono in sé informazione inscindibile dalla materia-energia. idem i bit non sono mera informazione binaria completamente smaterializzata, ma esistono grazie o nei processi elettrici/elettronici.
    In altri termini il dualismo cartesiano è un paradigma completamente inutile oltre che falso e superato: la realtà è sempre insieme materiale e spirituale. Forse è utile e finanche necessario recuperare l’ilemorfismo aristotelico?

  3. Pietro Abate says:

    L'identità precisa è dono e Grazia. E' frutto dell'evoluzionismo cristiano, dell'esperienza sensibile e concreta che l'uomo religioso fa della Presenza di Dio nella mente e nel cuore. Come l'oro nel crogiolo, con la fede e la ragione nella conversione quotidiana, la persona umana sviluppa al meglio tutte le sue facoltà e I suoi talenti. L'uomo è relazione… L'Altro dà senso alla mia vita. Bisogna convincersi che l'Amore è Tutto e tutto il creato converge a Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio incarnato, morto in croce e Risorto per la nostra salvezza, nessuno escluso!
    La Chiesa deve conoscere e far conoscere meglio Teilhard de Chardin… Educhiamoci, per educare alla vita buona del Vangelo! Nella missione della Nuova evangelizzazione, per essere testimoni credibili chiediamo l'aiuto di Gesù, dello Spirito Santo e della Vergine Maria.Ed è Gioia piena a 360 gradi, ogni istante di vita attiva e contemplativa. Grazie Padre Antonio, buon lavoro e buona giornata.

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