Regola uno del giornalismo: creare opposizioni, mettere uno contro un altro. così si fa la notizia. E Giacomo Galeazzi ha applicato questa regola con puntualità e decoro su “Vatican Insider” proclamando che “Steve Jobs spacca la Compagnia di Gesù“. Fatta la notizia, e goduto del titolo così accattivante, vediamo che cosa è accaduto e se Steve Jobs, morendo,  ha compiuto davvero questa insanabile gesuitica spaccatura. Ma Galeazzi ha saltato un passaggio importante… e rischia di far perdere di vista il punto. Cerchiamo di capire.

Galeazzi cita un mio post su questo blog (e non su La Civiltà Cattolica!) nel quale io farei “l’elogio funebre” del Ceo della Apple. E lo contrappone direttamente a un articolo apparso su America Magazine, la rivista dei gesuiti USA, dal titolo The Cathedral of Steve Jobs a firma di padre Raymond Schroth. Io nel mio post, scritto poco dopo la diffusione della notizia della morte di Jobs, volevo ricordare un suo famoso speech nel quale egli, già consapevole della sua malattia, diceva delle cose che ritengo valide, anche alla luce di alcune intuizioni di Ignazio di Loyola che fanno parte della mia spiritualità. Il mio intento era semplicemente quello di leggere l’esperienza di Jobs a partire da una serie di considerazioni fondamentali sulla vita, sulla morte e sulle disposizione nei confronti di ciò che conta veramente.

No, la mia non era né una boutade né una esagerazione, né la dichiarazione di una filiazione, ma una semplice riflessione a caldo. Quel mio post è stato condiviso sui social networks da circa 2000 persone. 

Il giorno dopo America Magazine pubblicava, a firma del gesuita James Martin, cultural editor della rivista, un articolo dal titolo Steve Jobs and the Saints. Padre James Martin nel suo post scrive qualcosa come: “non sto suggerendo di considerarlo un santo, ma di prendere in considerazione alcune caratteristiche che lo accomunano ai santi…”. In fondo i post di padre Martin e il mio sono pienamente in sintonia: colgono nel Ceo della Apple una icona pop della “santità” con elementi che hanno profondamente colpito le persone del nostro tempo. Qui non si discute l’uomo e che cosa ha fatto del suo successo, dei suoi soldi o cose de genere, tutti argomenti che meriterebbero un discorso a parte e ben articolato. Qui si discute di qualcosa che va ben al di là e tocca la sensibilità dell’uomo contemporaneo. Segnalo solamente che vinonuovo.it ha ripreso il mio pezzo e quello di padre Martin in una sintesi efficace, cogliendo il senso del discorso.

A distanza di tempo è uscita la riflessione di padre Schroth che legge in maniera decisamente più critica l’esperienza di Jobs e della Apple, e vede in Jobs un uomo privo di scrupoli. E dunque Galeazzi ha ragione nel percepire una differenza. Anziché elogiare l’espressone di una pluralità di opinioni sulla medesima testata (America magazine), ha preso la palla al balzo e ha rilanciato giornalisticamente la notizia della spaccatura della Compagnia di Gesù, opponendo invece le due sponde dell’Atlantico. Galeazzi non era al corrente dell’articolo di Martin, visto che non ne fa mai menzione. E fa uno scivolone (inevitabile) attribuendo direttamente alla rivista La Civiltà Cattolica la posizione su Jobs, la qual cosa non è vera, e attribuendomi un virgolettato di tre appellativi di Jobs del quale nel mio post non c’è traccia.

Adesso, lasciando al “Vatican insider” Galeazzi il suo mestiere di “fare” la notizia (ripresa anche da dagospia.com), stiamo attenti a non perderci nei bisticci. Si può giocare “ai gesuiti” come si gioca “ai soldatini”. Ma attenzione a chiudere gli occhi davanti a un fatto rilevante che deve far riflettere: mai un tempo si sarebbe immaginato di poter assistere alla “canonizzazione” di massa dell’amministratore delegato di una azienda che produce macchine. E questo è un dato di fatto: sono ben oltre 3o0.000.000 le pagine web che discutono della “santità” del Ceo della Apple. Perché questo è avvenuto?

E’ su questo piano che il discorso si fa serio ed esce dalla boutade giornalistica. Io avanzo una risposta: perché queste “macchine” (computer, tablet, smartphone,…) sempre di più stanno assumendo un valore che tocca le dimensioni più elevate dell’uomo: pensare, esprimersi, comunicare, capire il mondo. Steve Jobs è da intendere dentro questa cambiamento epocale come uno dei suoi maggiori fattori evolutivi e come un simbolo, una icona. Ed è questo il punto sul quale val la pena ancora riflettere.

 

  1. Maria Letizia Azzilonna says:

    Meno male che i “cervelli” gesuiti non hanno tutti il medesimo pensiero, troverei piuttosto questo inquietante… Credo che tutto ciò vada attribuito ad una falsa immagine che sovente si ha dei consacrati in genere, tutti fatti con lo stesso stampino! Ma un carisma non è uno stampino e far parte di una famiglia religiosa non significa necessariamente avere le stesse opinioni, né più e né meno di quanto accade in una famiglia “normale”. Io stessa sono stata vittima di questo pregiudizio quando nella fase della mia conversione /vocazione mi ritrovai vicino ad un gruppo di suorine che io vedevo tutte uguali e non solo per l’abito. Scoppiai a piangere consapevole del mio marcato “principium individuationis” come diceva Jung, o della mia “personalità”, come siamo abituati a dire noi, pensando tra me che non sarei mai riuscita a diventare come loro! Il mio direttore spirituale ebbe un gran da fare per farmi comprendere che la personalità non è mai qualcosa che deve essere azzerato neanche nel nome di Dio!

  2. Nadia Bonaldo fsp says:

    Condivido in pieno la linea di padre Antonio. Anch’io sul sito http://www.paoline.it, come riflessione per il mese di Novembre, dedicato alla morte, ho messo in relazione alcune frasi di Steve Jobs, Ignazio di Loyola, Antonio abate, Anselm Grun e Giacomo Alberione. Tutti ribadivano la necessità di vivere in pienezza il tempo presente, di ricordare la fragilità della vita ecc., inviti sui quali non si può non convenire. Molta “saggezza” è patrimonio dell’umanità, non di pochi eletti. Se poi guardiamo alla sfera privata, alla coerenza di vita… si salverebbe qualcuno?

  3. Sergio Pillon says:

    Leggo solo ora, tardi, questo blog ma un commento medico con le riflessioni conseguenti lo merita: una lezione di cui pochi hanno parlato Steve l’ha lasciata… Think Different e’ una scelta che si paga, a volte con la vita e tutta la storia di Jobs e’ intessuta di “Think Different” ma il conto e’, purtroppo, arrivato.
    Da quando fu cacciato dalla Apple che aveva fondato, e la scelta dei manager fu giusta per quel momento, altrimenti l’azienda sebbe stata soffocata dal suo stesso fonfatore. Poi torno’, con un altra azienda ed altri successi e tanti furono i “colpi” ma anche i clamorosi insuccessi e il piu’ clamoroso è stato la scelta iniziale della medicina alternativa per il cancro del pancreas.
    Questa decisione probabilmente gli e’ costata la vita. http://www.kevinmd.com/blog/2011/10/alternative-medicine-killed-steve-jobs.html “Think Different” ma ….il mondo e’ fatto di geni e di muli, di cavalli da corsa e cavalli da tiro ed e’ questo il meraviglioso effetto del sociale: tutti insieme si vince, si mitigano gli estremi, si prende valore l’uno dall’altro e si condividono le decisioni. Da solo neppure Steve Jobs puo’ farcela…

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