Come è facile notare, avendo a che fare con computer e file di vario tipo, usiamo in continuazione parole di chiara origine teologica quali «salvare», «convertire», ma anche «giustificare». Il dott. Richard Rouse, responsabile del dipartimento «comunicazione e linguaggi» del Pontificio Consiglio della Cultura, presentando alla stampa la recente asssemblea plenaria dal titolo «Cultura della comunicazione e nuovi linguaggi» ha affermato: «Salvezza, conversione, giustificazione. Tre parole molto familiari ai teologi, ma per i laici, invece, cosa significano queste parole? Salvare un documento word; convertire tra diversi tipi di formato elettronico; giustificare sulla pagina a sinistra o a destra».

Dietro queste parole c’è una intuizione importante, non semplicemente legata a un modo di «dire» la fede, ma forse anche di «pensarla».

È innanzitutto interessante capire la radice teologica di questi termini nella loro applicazione informatica, come ha fatto già alcuni anni fa mons. Bruno Forte in una sua relazione tenuta il 30 ottobre 2006 al XLIV congresso della Società Italiana di Psichiatria dal titolo «To save, to convert, to justify. I linguaggi della rete e la nostalgia di trascendenza» . Potrebbe essere ancora più interessante, però, capire quale sia, viceversa, l’impatto che la ricomprensione di questi termini possa avere, forse imprevedibilmente, sull’intelligenza della fede.

Siamo su un terreno instabile e ancora molto problematico: i due ambiti, quello teologico e quello informatico, certo appaiono completamente ben distinti e separati metodologicamente. E tuttavia il linguaggio e le metafore, lo sappiamo bene, plasmano il nostro modo di immaginare e di comprendere la realtà in generale. È necessario dunque avere un ampio approccio antropologico alla tecnica per comprendere ciò di cui stiamo discutendo. Come ha scritto Michael Fuller, teologo e chimico organico, noto autore di Atoms and Icons. Discussion of the Relationships Between Science and Theology (London, Mowbray, 1995) teologi possono utilmente guardare alle evoluzioni scientifiche e tecnologiche per capire che cosa esse possano dirci circa il nostro mondo e quali metafore e analogie passano nutrire il pensare teologico (cfr M. FULLER, «Science and Theology: Consonances», in Thinking Faith, 5 novembre 2010).

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